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Alain De Benoist, La fine della sovranità, Arianna Editrice (trad. it.), Bologna 2014

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Alain De Benoist, La fine della sovranità, Arianna Editrice (trad. it.), Bologna 2014.

Il titolo dell’ultimo libro di Alain De Benoist mette sul chi va là chiunque vada in cerca di spiegazioni “facili” dell’attuale crisi in cui versano gli Stati europei. Tutto è da ricondurre al “peccato originale” di questa “Europa”: la fine della sovranità.

È pensabile, si chiede il pensatore francese autore di altri importanti saggi quali Visto da destra, Il male americano, Democrazia. Il problema, L’impero interiore ed altri ancora, un’Unione Europea senza un briciolo di sovranità?

No che non lo è, eppure essa è stata concepita e realizzata da chi, per togliere il potere ai popoli, ha inteso stabilire una ferrea dittatura del denaro.
Mi dispiace ripetermi, specie per chi ha in odio i dejà-vu, ma piuttosto che cercare l’originalità preferisco insistere su un punto essenziale: senza sovranità, tutto il resto è inutile. È una perdita di tempo ed un inganno. Dalla “lotta all’immigrazione” alle campagne per la “moralizzazione” della politica. Dalle battaglie sindacali alle varie trovate del giorno per contrastare la “crisi”.

Questa “crisi”, agita tramite strumenti per l’appunto finanziari, è essenzialmente deficit di sovranità, sotto ogni aspetto. A partire da quella monetaria, checché ne pensino coloro che appena sentono parlare di “moneta” corrono con l’immaginazione agli Ufo e ai Rettiliani, per poi tacciare chi evidenzia l’attuale aberrante politica monetaria occidentale di far parte della nutrita schiera dei “visionari” e “complottisti”.

Il complotto, al contrario, dati alla mano e risultati disastrosi sotto gli occhi di tutti, è proprio quello di ci ha ficcato nella “gabbia europeista”, perseguendo un disegno ideologico nel quale la finanziarizzazione dell’economia è cresciuta esponenzialmente a svantaggio dell’economia reale. Speculazione contro investimenti (p. 29). E produzione per l’esportazione, non per il mercato interno, per prima cosa, come dovrebbe essere in ogni ordinamento normale.

Il processo di globalizzazione nel quale le imprese transnazionali (non “multinazionali”) hanno fatto di tutto per rendere gli Stati impotenti, lungi dall’apportare quei benefici messianicamente decantati per anni dalle élite occidentali, si è tradotto nella trasformazione dello Stato stesso, senza più vera “autorità”, in una macchina tenuta in piedi al solo scopo gestire la repressione ed il controllo dei sottomessi, dissociandosi perciò sempre più dal popolo (pp. 33-34). Un popolo tenuto a credere alla favola del “debito pubblico”, che solo per restare al caso francese sta portando la voce “interessi sul debito” al primo posto tra quelle del bilancio dello Stato. Da qui sempre nuove tasse e nuovi tagli di spesa, in nome del mitico “abbattimento del debito”.

Tutti oramai sanno che “debito pubblico” non è sinonimo di “sacrifici necessari”. Si pensi al Giappone, che ha un debito stratosferico ma essenzialmente nelle mani dei giapponesi stessi. La catastrofe è, semmai, la globalizzazione del debito, cosicché quello negoziabile della Francia è finito in mano per il 68% a stranieri, i quali lo usano come arma di pressione e di ricatto. Con la “legge” – colmo dello scandalo – che proibisce di sapere chi sono per filo e per segno (p. 41)!

In nome di che cosa, e nell’interesse di chi, dunque, i francesi, come gli altri popoli europei, sarebbero chiamati a “tirare la cinghia”?
Con Stati, o meglio simulacri di Stati, ai quali è fatto assoluto divieto di procurarsi autonomamente le somme di denaro di cui hanno bisogno, non sorprende che le cosiddette “agenzie di rating” siano state fatte assurgere al rango di colui che dà la vita e dà la morte. I giornali, oggidì, pubblicano queste “quotazioni” manco fossero gli esami del sangue di entità per la verità dissanguate dalle stesse politiche di “rigore” e di “austerità” che, in una spirale infernale (pp. 59-60), conducono dritte alla fine della sovranità che dà il titolo a questo libro (pp. 44-45).

A suggello della capitolazione totale degli Stati europei, è poi stato architettato il MES – Meccanismo Europeo di Stabilità, ispirato al famigerato Fondo Monetario Internazionale: per non rovinare la sorpresa, s’invitano tutti coloro che si procureranno La fine della sovranità a leggere per prima la pagina 50, davvero sconvolgente.

Roba da togliere il sonno, eppure i “nostri” politici non mostrano segni di turbamento, tanto sono stati cooptati in questo crimine culminante nella svendita delle loro patrie.

Conseguenza logica dei maneggi della grande finanza è lo scippo di ogni politica economica e finanziaria ai singoli Stati (p. 56). Oggi non esiste più la Legge di Bilancio, ma un’anodina Legge di Stabilità.

In queste condizioni, la “marcia verso la miseria” è assicurata (pp. 62-63), con le popolazioni sottomesse a questa gogna che mentre riducono le loro pretese dovranno mostrarsi felici e raggianti per i “conti in ordine”, il “deficit zero”, le “leggi del mercato” ed altre parole d’ordine messe in circolazione da chi ha tutto l’interesse a far credere che esiste una “economia pura” (pp. 70-71).

Alla luce di quanto sta accadendo, si capisce definitivamente la lungimiranza di chi, già oltre un secolo fa, denunciava appassionatamente, inascoltato dai falsi profeti del “proletarismo”, i danni del “capitalismo finanziario”; estrema degenerazione di una tendenza già anormale ad anteporre le istanze economiche al di sopra di quelle politiche e spirituali.

Il tempo, tuttavia, è gentiluomo, quindi darà a tutti la possibilità di constatare come anche la “guerra del sangue contro l’oro” non fosse una trovata pubblicitaria, ma la sintesi di una battaglia metastorica che da sempre viene ingaggiata tra gli usurai, senza patria per definizione, e chi non è affatto disposto a vendersi per un punto di “spread”.

Il dramma, stando a quello che documenta De Benoist, è solo agli inizi, anche se gli autori del “complotto” (quello vero) hanno già portato a segno alcuni colpi decisivi. Il TTIP – Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti, il quale è in fondo il frutto del fallimento dell’OMC – Organizzazione Mondiale del Commercio (p. 90), si staglia come l’incubo di una sorta di NATO economica, con l’Europa-mercato a detrimento di un’Europa-potenza. L’incubo finale è ben descritto a pag. 92: un’Unione Transatlantica che dovrebbe produrre un blocco politico-culturale dal Pacifico alla frontiera dell’area d’influenza russa.

Questa famosa “globalizzazione” o “mondializzazione”, si chiede l’Autore, non è forse sinonimo di “americanizzazione”?

Al di là delle definizioni, sempre inadatte a descrivere la complessità della realtà, resta il fatto che non si vede all’orizzonte, all’interno dello spazio euro-atlantico, un soggetto in grado di opporsi decisivamente a quest’esito catastrofico. I cosiddetti “altermondialisti” meno che mai, poiché, vittime dei loro tabù ideologici, “deplorano le conseguenze di cui continuano a coltivare le cause” (p. 112). La “società civile”, l’umanitarismo astratto, i “diritti umani”, “l’individuo”, già oggetto delle passate riflessioni critiche di De Benoist, rientrano nelle storture che andrebbero sanate, e non rappresentano alcuna alternativa praticabile con successo.

Qualche forma di resistenza alla “mondializzazione” può sorgere a livello “locale”, per esempio a livello alimentare, ma è sinceramente troppo poco quando la forza corruttiva del denaro è in grado d’imporre, sulla testa dei popoli, decisioni aberranti eppure osannate da tutto l’apparato politico-mediatico nazionale ed europeo.
Il pericolo della fagocitazione dell’Europa nell’Unione Transatlantica (ovviamente condotta nella massima omertà) mostrerà il suo volto più mostruoso quando l’allineamento normativo interesserà settori quali la giustizia, la sanità, il lavoro: le norme più “liberiste” saranno quelle che avranno la meglio.

E quando i servizi d’urgenza, l’acqua (malgrado gli esiti referendari), gli ospedali, il gas, l’energia elettrica e addirittura il patrimonio culturale (già affidato a “super manager” stranieri) sarà “liberalizzato”, in che mondo vivremo?

Che razza di follia è quella nella quale il “mercato” (cioè le banche) entra nella gestione dei Comuni, delle Provincie, delle Regioni e dello Stato?

Ma attenzione, perché gli Stati Uniti, che sarebbero al culmine di questa tendenza “mercatista”, in base ad una legge del 1933 (guarda caso), hanno solo il 30% dei loro settori pubblici aperti ad imprese estere. Mentre a noi predicano che il “protezionismo” è sbagliato… e che dovremmo “aprire” tutto a tutti.

Ecco, il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. E le bugie hanno le gambe corte. Questo libro di De Benoist è un potente strumento per metterle a nudo e da lì ripartire per riconquistare la nostra sovranità.

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