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ISRAELE, I CURDI E LA DISSOLUZIONE DEL VICINO ORIENTE

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Sia la stampa inglese (in particolare quella finanziaria: Financial Times) che quella turca (per esempio Hürriyet del 25 agosto, che in effetti riprende la notizia citando come fonte il quotidiano inglese) hanno sottolineato gli ingenti approvvigionamenti petroliferi assicurati a Israele dal governo territoriale autonomo nordiracheno.

Le autorità curde fornirebbero attualmente a Tel Aviv più dei tre quarti (il 77 % per l’esattezza) del fabbisogno petrolifero. Da maggio all’11 agosto 2015 sono stati consegnati dal governo autonomo curdo a Israele 19 milioni di barili di petrolio, per un controvalore di circa un miliardo di dollari: si tratta indiscutibilmente di un grosso bottino realizzato attraverso il piano di smembramento del Vicino Oriente, cui accennavamo in un precedente articolo.

I pagamenti del greggio avverrebbero in anticipo sulla consegna, attraverso l’intermediazione di grandi compagnie mondiali che provvedono alla commercializzazione e alla consegna dell’oro nero; in particolare attraverso la Trafigura (coinvolta in scandali petroliferi in diversi Paesi, dal Sudafrica alla Costa d’Avorio e allo stesso Iraq) e attraverso la Vitol, due colossi dello stoccaggio e della successiva rivendita del petrolio.(1)

Risulta confermata l’importanza della carta curda giocata da Israele nella sua strategia di frammentazione dell’area: il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Lieberman, ha osservato che l’indipendenza curda è il risultato inevitabile dell’implosione irachena, e lo stesso Netanyahu parlando all’università di Tel Aviv ha affermato che “il popolo curdo merita l’indipendenza”.)

E‘ una strategia che non nasce oggi ma risale almeno all’inizio degli anni Sessanta, quando Israele divenne la principale fornitrice di armi e di formazione militare per i Curdi iracheni (2); sono peraltro noti gli abboccamenti dello storico capo curdo Mustafa Barzani con Moshe Dayan, con Golda Meir, con Menachem Begin, mentre l’assistenza militare israeliana ai separatisti curdi è continuata in Iraq fino ai nostri giorni, coinvolgendo con alterni esiti il territorio turco, quello siriano e quello iraniano. Dopo la caduta di Saddam Hussein non solo è aumentata l’infiltrazione israeliana sotto il profilo militare, ma si è anche sviluppato un consistente intervento di tipo economico attraverso molte imprese e aziende israeliane aperte nel nord dell’Iraq, mentre una rivista “Israele e i Curdi” è apparsa a Erbil in arabo e in curdo.

Nel 2003 l’Istituto israeliano per l’esportazione organizzò a Tel Aviv un convegno d’affari, invitando le imprese israeliane ad aprire attività imprenditoriali nel nord Iraq in modo per così dire “mascherato”, assumendo cioè commesse da imprese giordane e turche: 5 anni dopo si contavano oltre 200 società israeliane operative in quell’area.

Il giornalista curdo Ayub Nuri ha espresso l’orientamento di una parte – certamente non di tutti – dei suoi connazionali: “I Curdi provano una profonda simpatia per Israele, e un Kurdistan indipendente sarebbe un beneficio per Israele”.(3)

Ayub Nuri non rappresenta probabilmente la generalità dei Curdi – ve ne sono anche di ostili o dubbiosi circa il piano di distruzione del Vicino Oriente – ma il suo curriculum vitae è alquanto rappresentativo della linea di tendenza gradatamente affermatasi: giornalista del Washington Post e del New York Times, corrispondente da Baghdad di Global Radio News e della BBC nel 2003, premiato nel 2007 dall’Associazione Stampa Estera di New York.

NOTE
1. Sulla consistenza e sul ruolo di tali società si veda un’interessante sintesi:
http://www.economy2050.it/oligopolio-mondiale-materie-prime/
2. Sergey Minasian, The Israeli-Kurdish Relations, in “21st century”, n. 1, 2007, p. 22
3. http://www.jerusalemplus.com/1er-allie-disrael-au-m-o-le-kurdistan-independant/

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